Isola di Neve

Isola di neve

Da tempo Massimo mi perseguitava perché leggessi i libri di Valentina D’Urbano, di cui è grande fan. Diciamolo chiaramente: non è che non mi fidassi del suo consiglio, ma leggendo io in media una quarantina di libri all’anno contro i suoi sette dovevo mantenere la mia posizione da lettrice snob della casa. Poi questa estate gli sono arrivate in anteprima le bozze dell’ultimo romanzo, “Isola di Neve” uscito poi in libreria il 12 settembre: la premessa della storia mi aveva già catturato e complice il sia-sempre-benedetto nido dell’hotel in Trentino in cui siamo stati per una settimana mi sono appropriata del malloppo e buttata a capofitto nella lettura.

Un’isola svuotata di turisti e battuta dai venti invernali: per Manuel è un rifugio nel passato, il ritorno alla casa dell’infanzia, l’unico luogo in cui nascondersi per fare i conti con un passato molto vicino che lo tormenta. Per Edith invece l’isola di Novembre è un’opportunità: anche lei si trova qui per fare i conti con il passato, sulle tracce di un violinista tedesco di grandissimo talento ma poco riconosciuto dalla storia e dall’accademia. Di fronte a Novembre si staglia in mezzo ai flutti l’isola di Santa Brigida, dove un antico carcere sta lentamente cadendo a pezzi: è lì che Andreas von Berger ha portato il suo inestimabile Guarneri del Gesù quando è stato rinchiuso come ultimo detenuto negli anni ’50.

Inseguendo gli indizi e l’intuito ci troviamo quindi a ripercorrere le orme di una misteriosa donna chiamata Tempesta, dei suoi spostamenti tra le due isole e della sua fame di libertà. Se dovessi individuare il tema primario di questo romanzo sarebbe proprio la tensione costante che Valentina D’Urbano riesce a creare tra i concetti di prigionia e libertà: ogni isola è una prigione, e paradossalmente solo l’esplorazione di un carcere riesce a “liberare” i fantasmi del passato dei protagonisti. Il suono di un violino che si alza dall’interno della cella mentre una ragazza bionda ascolta dalla spiaggia è l’immagine su cui si avviluppano tutti i diversi piani narrativi del romanzo. E sono tantissimi! Oltre alla storia di Andreas e Tempesta c’è quella di Edith e Manuel, il loro rapporto quasi forzato e in costante ricerca di un equilibrio. E poi la storia di Manuel e della vicenda tragica che lo ha spinto a scappare a Novembre. Ma anche la storia della sua famiglia, della casa in cui si è rifugiato e dei suoi abitanti che si intreccia, come in ogni piccola comunità chiusa, con la storia di Novembre e di Santa Brigida: isole che a loro volta non sono semplici scenografie di una vicenda ma vere e proprie co-protagoniste, con le loro luci forti, i forti venti e i contrasti che le animano.

In tutto questo c’è la bravura infinita di Valentina D’Urbano nel tenere in piedi non solo i passaggi tra presente e passato ma anche tutte le sotto-trame che via via emergono nel romanzo e che rendono la storia principale ancora più complessa e affascinante. Proprio come in un concerto per violino e orchestra in cui emergono diverse voci a dare spessore alla parte del solista, anche qui si alternano momenti di tensione, colpi di scena e risoluzioni con un ritmo che tiene incollati alle pagine.

Quindi sì, un grande grande sì per questo libro intelligente, molto emozionante, strutturato e scritto strabene. Per una volta pago pegno e mi tocca ammettere che Massimo aveva ragione e cercherò di recuperare a breve gli altri romanzi di Valentina D’Urbano. Intanto, se volete, vi lascio anche in ascolto “La Tempesta di Mare” di Vivaldi, per entrare nell’atmosfera giusta e iniziare a scoprire il rapporto tra Tempesta e Andreas.

Commenta per primo

Lascia un commento